Maria Savino ha dipinto muri. Che si chiudono di fronte a noi che guardiamo. Si serrano in una loro assenza apparente di prospettive, di cieli anche solo immaginati. Ha dipinto muri con la lenticolare precisione di un monaco tedesco intento al suo libro delle ore. Ma vi ha immesso il senso di una materia che si staglia e mai si frammenta. Data dal senso di una potenza che si apre di fronte a noi e ci consegna, tutta intera, la pienezza dell’azione del vivere.
Questi muri, di tutti i colori del mondo, sono impastati di giorni, di accadimenti, di speranze. Maria Savino usa la pittura come un diario, fogli di una confessione che non teme di dichiarare. Ha l’informale più materico come suo riferimento stilistico, ma poi vi incide il non detto e il non dicibile dell’esistenza.
Crede alla pittura come a un fatto non scansabile, mai. Crede alla pittura come a una dichiarazione d’amore, strumento per dare voce a un racconto.
Perché cosa sono, se non racconti dalla cifra infuocata e ribollente, questi muri in apparente stato di sospensione? Cosa sono se non l’attesa dell’evento, il suo essere previsto? Muri come memorie del passato, intromissione nel presente e previsione del futuro.
Lavagne sulle quali campeggia, occhieggiando, una parola chiave e il mondo in questo modo si presenta a noi, ci chiede una condivisione. Lavagne sulle quali si incide tutto di noi, lo spazio come il tempo, i luoghi e i volti. Lavagne che non riflettono, ma che trattengono nella materia, di cui Maria Savino fa un uso sapiente. Materia che apparentemente si nega nel punto invece di offrirsi.
Materia che accoglie dentro se stessa come un grembo materno. Perché questa funzione del femminile è pienamente detta in questa pittura. Tutta accogliente, tutta includente. La materia che prima ribolliva in una sua primordiale sostanza, adesso si placa in ampie fessure che comunque, con tutta la forza della previsione, annunciano luce, limpidezza dell’aria invisibile, orizzonti implacabili e dolcissimi.
La materia di cui è composta questa pittura prende, nel suo essere, tutto il tempo, tutta l’apparizione di quel tempo. Questo è infine il miracolo completamente sotteso alla trama del lavoro di Maria Savino: dipingere il tempo, la sua distensione, il suo comparire misterioso, il suo dilagare nella vita e nell’universo, dipingere tutto questo mentre si dipinge un muro che apparentemente tutto serra. Materia chiusa che ha segretamente in sé orizzonti.