Milano Art Gallery: Vittorio Sgarbi onora la memoria di Gino De Dominicis

 

Si è svolto con successo in data 30 aprile il vernissage della mostra commemorativa per celebrare il grande maestro Gino De Dominicis, intitolata "D'Io" e allestita presso l'esclusivo spazio della “Milano Art Gallery”, in via Alessi 11 a Milano, con la curatela del critico Vittorio Sgarbi e la gestione organizzativa del manager della cultura Salvo Nugnes. L'esposizione resterà in loco fino al 29 giugno 2015 ed è visitabile con ingresso libero.

 

Nel commentare lo stile peculiare e inconfondibile di De Dominicis, Sgarbi ha espresso delle riflessioni molto significative e l’ha ricordato con affettuosa amicizia, essendo stato legato a lui anche da una solida amicizia di vecchia data, oltre che da una sincera stima e ammirazione. In particolare, il professore, spiegando davanti al nutrito pubblico presente durante l'evento inaugurale, ha dichiarato: "Gino è l'artista più antico e contemporaneo, che io abbia mai conosciuto. Nessuno può inserirlo in una corrente, in un gruppo, in una tendenza, secondo le ripartizioni che hanno contraddistinto, dai futuristi all'arte povera, l'intero Novecento. Gino fu ed è beffardo e indipendente, superbo e individualista. Attraversò, infilò con la sua lancia d'oro, avanguardisti, poveristi, e transavanguardisti. Li mortificò con la sua calamita cosmica".

 

E proseguendo ha sottolineato: "Lui fu classico e ricco, allegro e malinconico, senza crisi e disagi, senza tormenti e turbamenti, luminoso e notturno, nero e oro; e nero e nero; e oro e oro. Oggi riappare, presente e sfuggente, benché fosse più sfuggente quando era presente. E invece, ora e sempre, hic et nunc, è. Nel suo tempo. In tutti i tempi. Fuori del tempo".

 


 

 

 

Gino De Dominicis

di Vittorio Sgarbi

 

Fin dagli inizi della sua attività, ho sempre provato un misto di curiosità e di simpatia per Gino De Dominicis (Ancona, 1º aprile 1947 - Roma, 29 novembre 1998), trasformatesi poi in infinita ammirazione. Ma non posso nascondere che per diverso tempo, quando era ancora in vita, l’obiettiva difficoltà di vedere il suo lavoro, la caparbietà capricciosa di sottrarsi a cataloghi e volumi precocemente commemorativi, la conseguente scarsa o nulla circolazione di fotografie, da lui giudicate corpi estranei, senza alcun legame con l’opera dell’artista, mi hanno creato una certa difficoltà a farmi un giudizio fondato e sereno. Le amicizie e le frequentazioni di De Dominicis m’inducevano a ritenere la sua posizione piuttosto vicina ad arcaici residuati d’arte concettuale e povera, in verità molto più di lui pubblicizzati, visti e promossi. Mi sbagliavo. De Dominicis non aveva nulla a che fare con queste o altre espressioni, con pretese di globali interpretazioni del mondo. De Dominicis era solo, era il “grande solitario”, come lo era stato negli anni sessanta Domenico Gnoli. La sua posizione era infatti per definizione, e direi anche per carattere, eccentrica senza essere periferica, anzi essendo centrale al problema stesso dell’espressione. In un certo senso, ha agito in lui la lezione di Lucio Fontana, che arrivò al limite estremo dell’immagine senza uscirne. De Dominicis non ha voluto sottrarsi al confronto e ha ostinatamente cercato di verificare e dimostrare che è il quadro che fa l’ambiente. Per anni ha lavorato su superfici di legno dipinte con uniforme colore nero opaco, intervenendo su di esse preferibilmente con l’oro o con la matita. Penso al grande dipinto con i profili di Urvasi e Gilgamesh, in contemplazione di una marina sulla quale splende la luce solare di un solido geometrico.
Il confronto tra il fondo e il segno determina una luce argentata simile all’incisione del niello.
Luce e mistero, in una sottilissima variazione della contemplazione e dell’infinito della pittura romantica: quasi un omaggio alle Rocce di Rütgen di Caspar David Friedric.
De Dominicis non evade, cambia rotta, trova un’immagine inedita dentro e attraverso il disegno; e l’immagine s’impone nello spazio, lo determina e lo deforma. L’intera sua opera è come magia che stupisce, rapisce, stordisce fino al punto di sostituirsi alla realtà stessa. Qui sta il mistero dell’arte, nella sua forza di sostituirsi alla vita. Raramente un artista contemporaneo ha espresso con le immagini un pensiero così forte.
De Dominicis era rigoroso e radicale, ma non rinunciava al paradosso, non assumeva atteggiamenti, prediligeva l’ironia, il divertimento nella vita e nel dialogo. Il luogo del pensiero era l’opera, superamento individuale, prima stilema che stile, che esce insieme dalla mente e dalla mano.

 

…l’artista più antico e contemporaneo che io abbia conosciuto: Gino De Dominicis, di cui tutti ricordano la vita eroica e misteriosa, e l’arte solitaria e intransigente. Nessuno può inserirlo in una corrente, in un gruppo, in una tendenza secondo le ripartizioni che hanno contraddistinto, dai futuristi all’arte povera, l’intero Novecento.

Gino fu ed è beffardo e indipendente, superbo e individualista. Attraversò, infilò con la sua lancia d’oro, avanguardisti, poveristi e transavanguardisti. Li mortificò con la sua calamita cosmica. Lui fu classico e ricco, allegro e malinconico, senza crisi e disagi, senza tormenti e turbamenti, luminoso e notturno, nero e oro; e nero e nero; e oro e oro.

Oggi riappare, presente e sfuggente, benché fosse più sfuggente quando era presente. E invece, ora e sempre, hic et nunc è. Nel nostro tempo. Nel suo tempo. In tutti i tempi. Fuori del tempo.

 

Onore a Gino De Dominicis.

 

Vittorio Sgarbi

 

 

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