I quadri che contengono calendari della prima metà del ‘900 esposti nello spazio culturale “Milano Art Gallery” fanno parte dell’ampia collezione di Alberto Persico che, attraverso disegni artistici di monumenti, siti archeologici, oggetti di carattere scientifico, graffiti e originali di calendari antichi, almanacchi, libri, datari da scrivania e orologi etnici, compiono un salto nel tempo dal Paleolitico ad oggi.
Quanto incluso nella mostra è riferito ai soli calendari pubblicitari, del barbiere, postali e da tasca della prima metà del Novecento.
Il materiale è interessante sia dal punto di vista culturale che di costume. La tecnica di stampa si inserisce nella “rivoluzione” tecnologica in quanto dalla xilografica, ormai in forte declino, si passa alla stampa litografica su pietra, cromolitografica e, proprio nei primi decenni del XX secolo, alla stampa “offset”.
È da ricordare che il calendario pubblicitario, fin dai primi anni del XX secolo, fu di grande supporto allo sviluppo economico italiano ed europeo mentre i lunari e gli almanacchi, con disegni e saggi di varia natura, furono i precursori delle odierne riviste.
I barbieri, nei loro negozi, dove in epoche precedenti praticavano anche la “cura dei denti”, successivamente furono centro di ritrovo culturale in quanto gli avventori si attardavano in lunghissime dispute su diversi argomenti.
Riportiamo alcune riflessioni a testimonianza dell’aspetto culturale-popolare assunto dai calendari del “barbiere”:
Ricordo il profumo intenso che emanavano i calendarietti, che appestava quando tiravamo fuori il portafoglio. I calendarietti rappresentavano il gusto del proibito, per le donne prosperose che raffiguravano. Possederli da ragazzi era un modo per sentirsi più grandi, per avvicinarsi al mondo degli adulti.
(Renzo Arbore)
Nella mia tradizione il rituale dei calendarietti era molto forte. Nel mio paese in Sicilia gli uomini impazzivano per averli, perché per loro - come ha detto bene Brancati - la donna è il mito più grande. Erano opuscoli graziosi forse anche per il modo gentile con cui rappresentavano l’universo femminile.
(Franco Battiato)
Avevano un profumo intensissimo e le copertine erano fatte con un piccolo bassorilievo. I calendari che mi ricordo sono quelli degli anni Trenta che rappresentavano le opere liriche, ma anche quelli con degli ovali che raffiguravano belle signore in costume con fastose acconciature. Il calendarietto che mi ricordo di più è quello dedicato all’Otello, che aveva una faccia minacciosa che contrastava con il profumo dolcissimo del libretto, un tipo di profumo che si è perso col tempo e non abbiamo mai più sentito”.
(Federico Fellini)
Erano proprio una grande cosa erotica. Li ho scoperti nell’età dell’adolescenza, l’età in cui la pentola bolle forte. Rappresentavano la parte permissiva, erano perfetti come Supersex. Quando il barbiere li regalava, in mezzo a tutti quei maschiacci, era proprio una grande soddisfazione. Poi, con la scusa di guardare il giorno, si tiravano fuori continuamente per adocchiare le donnine. Si sa che l’oblio è la parte più profonda della memoria, ma chi può scordare la donnina di febbraio sul calendarietto del ‘69, di fronte a lei Playboy e Playman scomparivano.
(Roberto Benigni)
Erano le donnine più spinte che ricordi. Curiosamente contrastavano con le figure dei barbieri che regalavano i calendarietti a Natale in un’atmosfera ovattata. Non era possibile immaginare quelle donnine al fianco di quei barbieri dalle facce pallide con i capelli spolverati di talco.
(Sergio Staino)
La domanda ricorrente che mi viene posta è quella relativa alla più longeva testimonianza di “forma di misura del tempo”. Per ora, per quanto ne sappia, si tratta della Venere di Laussel (30.000 / 28.000 anni fa), che si trova nel Musée d’Aquitaine di Bordeaux e, in copia eseguita dallo scultore cremonese Graziano Carotti, nella mia collezione.